Studio pan-europeo dimostra che i pesticidi neonicotinoidi danneggiano le api selvatiche

Lo studio “Country-specific effects of neonicotinoid pesticides on honey bees and wild bees”, pubblicato su Science da un team di ricercatori britannici, tedeschi e ungheresi guidati da Ben Woodcock del Centre for ecology and hydrology (Ceh) del Natural environment research council (Nerc), espone i risultati di un esperimento sul campo su vasta scala per valutare gli impatti di pesticidi neonicotinoidi sulle api da miele e le api selvatiche in tutta Europa.

L’esperimento, intrapreso in Germania e Gran Bretagna, ha esposto tre specie di api alle colture oleaginose di colza con semi trattati con i neonicotinoidi clothianidin di Bayer CropScience o thiamethoxam della Syngenta. Sono stati infatti proprio i due colossi dall’agrochimica a finanziare la ricerca per valutare l’impatto dei neonicotinoidi sulle api, mentre il Nerc britannico ha finanziato l’analisi dell’impatto sulle api selvatiche. L’esperimento, compresi progettazione, monitoraggio e analisi, è stato esaminato da un comitato consultivo scientifico indipendente presieduto da Bill Sutherland dell’università di Cambridge.

Il rivestimenti di semi con neonicotinoidi sono stati progettate per uccidere parassiti come il Psylliodes chrysocephalus, ma nell’Unione europea sono vietati dal 2013 a causa delle preoccupazioni per il loro impatto sulla salute delle api. Preoccupazioni confermate dai ricercatori che hanno scoperto che «l’esposizione alle colture trattate riduce il successo dello svernamento delle colonie di api – un’attività chiave di anno in anno per la vitalità – in due dei tre Paesi. In Ungheria, nella primavera successiva il numero delle colonie è diminuito del 24%. Nel Regno Unito, la sopravvivenza colonia di api è stato generalmente molto bassa, ma più basso dove le api si erano alimentate con colza trattata con il clothianidin nel corso dell’anno precedente. Non sono stati trovati effetti nocivi per le api da miele svernanti in Germania».

Il basso successo riproduttivo si riflette nel numero di regine di bombi (Bombus terrestris ) e nella produzione di uova di Osmia rufa (Osmia bicornis) ed è stato collegato all’aumento dei livelli di residui di neonicotinoidi nei nidi delle specie di api selvatiche in tutti e tre i Paesi.

Secondo Woodcock, «I neonicotinoidi indagati hanno causato una ridotta capacità di tutte e tre le specie di api a stabilire nuove popolazioni nel corso dell’anno successivo, almeno nel Regno Unito e in Ungheria». Mentre i «Gli effetti differenti sulle api da miele tra i tre Paesi potrebbero essere associati a fattori che interagiscono, tra cui la disponibilità di risorse floristiche alternative per le api a nutrirsi nel territorio di nidificazione, come la salute generale delle colonie, con le api da miele ungheresi e del Regno Unito che tendono ad essere più malate».

Invece negli alveari tedeschi, che hanno a disposizione spazi più ampi, hanno mostrato scarsa presenza di malattie e un accesso a una più ampia gamma di fiori selvatici per nutrirsi. Woodcock suggerisce che «Questo potrebbe spiegare il motivo per cui in questo solo Paese da solo non c’era alcuna evidenza di un effetto negativo dei neonicotinoidi sulle api».

Lo studio, che ha interessato 33 siti e 2.000 ettari, pari a 3.000 campi da calcio, ha tenuto conto delle malattie delle api e la qualità del territorio circostante, ma anche del tasso di crescita delle colonie, della mortalità delle operaie e della sopravvivenza durante lo svernamento.

Woodcock non è contrario all’utilizzo dei semi trattati con neonicotinoidi che secondo lui hanno attributi positivi: «Hanno come bersaglio gli insetti che danneggiano la pianta, possono essere applicati al seme a dosaggi bassi ma proteggono l’intera pianta e riducono la necessità di un ampio spettro di insetticidi spray e il loro uso come un’opzione di controllo chimico alternativo è anche utile al controllo degli infestanti nei quali è già stata trovata resistenza agli insetticidi ad altri pesticidi, in modo da svolgere un ruolo importante nella produzione alimentare».

Lo scienziato britannico è convinto che «Ci possono essere delle opportunità per mitigare gli impatti negativi dell’esposizione ai neonicotinoidi delle api attraverso una migliore allevamento delle api o la disponibilità di piante da fiore perché le api possano nutrirsi in tutte le aree non coltivate del territorio agricolo. Entrambe queste questioni richiedono ulteriori ricerche».

Per quanto risulta gli effetti negativi di neonicotinoidi sulle api selvatiche, per Woodcock «Possono anche essere il risultato di diversi meccanismi di esposizione che includono residui persistenti di neonicotinoidi nei sistemi arabili a causa del loro uso diffuso e spesso molto frequente».

Uno dei co-autori dello studio, Richard Pywell, del Sustainable land management del Ceh, evidenzia che «I neonicotinoidi restano una questione molto controversa, con ricerche precedenti sia sulle api che sulle api selvatiche che sono state inconcludenti. Questo recente studio sul campo è stato progettato, per quanto possibile, in modo da riflettere il mondo reale grazie alle sue dimensioni e portata. Riteniamo quindi che sia un modo considerevole per spiegare le incongruenze nei risultati di ricerca del passato, dato che siamo stati più in grado di tener conto della variazione naturale in fattori come l’esposizione al pesticida, le risorse alimentari delle api e la salute delle api per le diverse specie di api. I nostri risultati sollevano inoltre importanti questioni riguardo alla base per la sperimentazione a norma dei futuri pesticidi».

Ma la Bayer, un importante produttore di neonicotinoidi, che pure ha finanziato in parte lo studio, ha detto che i risultati sono inconcludenti e resta convinta che questi pesticidi non facciano male alle api. Per Syngenta, i dati sono preziosi ma variabili e ha evidenziato naturalmente i risultati meno preoccupanti della Germania, sottolineando che se migliorano gli habitat e la salute degli impollinatori, «L’impatto dei neonicotinoidi può essere minimo».

Ma, in una intervista a BBC News, è lo stesso Pywell a mettere in guardia su una possibili minimizzazione del pericolo: «I nostri risultati sono un motivo di seria preoccupazione. Abbiamo dimostrato per la prima volta gli effetti negativi della medicazioni dei semi rivestiti con neonicotinoidi sulle api da miele e abbiamo anche dimostrato effetti negativi simili sulle api selvatiche. Questo è importante perché a livello globale molte colture sono impollinate dagli insetti e senza impollinatori dovremmo lottare per la produzione di alcuni alimenti».

Richard Schmuck, direttore scienze ambientali della Bayer, ribatte: «Non condividiamo l’interpretazione del Centre for ecology and hydrology che gli effetti negativi dei trattamenti dei semi possono essere conclusi da questo studio, e siamo fiduciosi che i neonicotinoidi siano sicuri se usati e applicati in modo responsabile».

Un’interpretazione che non convince per nulla gli ambientalisti di Friends of the Earth e ClientEarth, che hanno detto che «I risultati dello studio dovrebbero indurre l’Unione europea di estendere il divieto sui neonicotinoidi».

E’ d’accordo David Goulson dell’Università del Sussex che ha detto alla BBC: «Alla luce di questo nuovo studio, continuare ad affermare che l’uso dei neonicotinoidi in agricoltura non danneggia le api non è più una posizione sostenibile» e Nigel Raine, dell’università canadese di Guelph conferma: «Anche se i risultati di questo rapporto su uno studio su larga scala variano per l’impatto dell’esposizione neonicotinoidi … il quadro complessivo punta verso impatti negativi apprezzabili su questi importanti impollinatori durante tutto il tempo questo studio».

Source: Green Report, 30 giugno 2017
http://www.greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/studio-pan-…